Il luogo dove abito Roma – in questi giorni è ferma e dilatata – piena di smagliature e di cicatrici, decido di percorrerla ed attraversarla. La città è un corpo, ha il suo ventre e le sue viscere e mi trasporta in una dimensione di tempo sospeso mentre l’attraverso. Sei tu ferma o lo è lei? È come quando stai al finestrino di un treno e guardi fuori mentre ne passa un altro, non sai bene chi dei sue si muove, è una strana sensazione di spaesamento.
Parto da Testaccio in direzione centro, cammino raso ai muri anche se non c’è nessuno, mi proteggo ugualmente, questa strana sensazione come di pericolo e di sorveglianza mi “accarezza” durante tutto il mio procedere. Le uniche voci che sento sono di persone/personaggi che parlano da soli, sono i cosiddetti “senza fissa dimora”, di cui parlavo prima, che si sono giustamente impadroniti della città insieme agli uccelli e altri animali. Rifletto, forse gli unici liberi qui sono loro.
La città sembra senza voce, è un corpo che forse sta parlando in un’altra lingua quella del silenzio, che si contrappone al ricordo del rumore assordante del traffico che c’era sul lungo Tevere. Che pace!
Roma è una città fantasma, l’unica sagoma che forte mi viene incontro è quella di Giordano Bruno. Sono a piazza Campo de’ Fiori, in effetti e come se mi imbattessi con la sua apparizione. In psicoanalisi secondo Lacan il fantasma rappresenta la messa in scena, la finzione strutturale rispetto al venire meno del soggetto di fronte al mancare della Cosa. Cosa manca qui?
Continuo a camminare e mi dirigo verso ponte Garibaldi, mi imbatto nuovamente con un altro “corpo” quello di Giorgina Masi morta su questo ponte a soli 19 anni nel 1977, durante una manifestazione, colpita allo stomaco da “un fuoco amico” così sostengono le cronache d’allora ovviamente il caso fu insabbiato e mai risolto. Non è vero che qui non c’è più nessuno, queste presenze diventano sempre più disegnate e definite dai contorni di questa città, il corpo prende sempre più forma. È l’evidenza di una nudità, non c’è più niente da nascondere ed il mio pensiero fa corto circuito con il titolo di un film che leggo dal cancello del cinema Nuovo Sacher. Mi manca il cinema, mi manca quella proiezione immateriale cara al mio immaginario, perché ai corpi non si può sottrarre anche questo. Mi fermo e osservo Volevo nascondermi di Elio Germano, forse oggi ho deciso di uscire allo scoperto e di attraversare questa mia paura.